“Una donna, di nome Marta, lo ospitò” nella sua casa. Il cammino richiede ogni tanto una sosta, desidera una casa, reclama dei volti. Marta e Maria, amiche di Gesù, gli aprono la porta della loro dimora. Anche Gesù aveva bisogno di una famiglia per sentirsi amato. Le comunità cristiane attraggono quando sono ospitali, quando si configurano come “case di Betania”: nei primi secoli, e ancora oggi in tante parti del mondo dove i battezzati sono un “piccolo gregge”, l’esperienza cristiana ha una forma domestica e la comunità vive una fraternità stretta, una maternità accogliente e una paternità che orienta. La dimensione domestica autentica non porta a chiudersi nel nido, a creare l’illusione di uno spazio protetto e inaccessibile in cui rifugiarsi. La casa che sogniamo ha finestre ampie attraverso cui guardare e grandi porte da cui uscire per trasmettere quanto sperimentato all’interno – attenzione, prossimità, cura dei più fragili, dialogo – e da cui far entrare il mondo con i suoi interrogativi e le sue speranze.
Domande per stimolare la condivisione di esperienze
- A quali esperienze vissute associo il mio “sentirmi a casa” nella Chiesa, oppure l’aver visto qualcuno “sentirsi a casa” nella Chiesa?
- In quali situazioni ho percepito l’apporto significativo di coppie coniugate e di famiglie dentro la vita della Chiesa? Quali erano gli ingredienti di tali esperienze?
- A partire dalla mia vicenda, quali “luoghi” ecclesiali (parrocchie, strutture, organismi, gruppi ecclesiali presenti nel territorio) mi hanno consentito, in questi ultimi anni, di fare esperienza di una Chiesa viva e di quali invece ho sentito il peso?